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Scena Verticale / Dario De Luca

Lo psicopompo, 2019

Dario De Luca, lo psicopompo, 2019

Lo psicopompo

scritto e diretto da Dario De Luca
con Milvia Marigliano e Dario De Luca
assistenza alla regia Gianluca Vetromilo
disegno luci Dario De Luca
suono Hubert Westkemper
programmazione Max-MSP Mattia Trabucchi
fonico Matteo Fausto Costabile
costumi e oggetti di scena Rita Zangari
organizzazione generale Settimio Pisano
produzione Scena Verticale
con il sostegno di Cosenza Cultura e di BoCs Art Residenze D’Artista

Attraverso gli spazi de Lo psicopompo.

di Carlo Fanelli

Quanto impiega l’ultima nota di un brano musicale a spegnersi del tutto?

Il 17 marzo 2021, a un anno dall’inizio dell’iter parlamentare, l’eutanasia è legale in Spagna, dopo che il Congresso ha approvato in via definitiva la legge che la depenalizza e la regola. A giugno sarà una «prestazione» del sistema nazionale di salute, che potrà essere richiesta dai pazienti maggiorenni, colpiti da «una malattia grave o incurabile» in uno stato di «sofferenza grave, cronica e impossibilitante, causa di una sofferenza intollerabile». In Italia l’eutanasia è ancora considerata illegale, mentre grazie alla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale, è invece possibile richiedere il suicidio medicalmente assistito, ossia l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico.

Partendo da tali considerazioni prende forma questo sguardo su Lo psicopompo di De Luca. La relazione che lega la cronaca e il teatro non è casuale, né sporadica, né tantomeno nuova, sebbene è all’eutanasia che si rivolge l’attenzione dell’autore. Peraltro, la morte ha sempre avuto una relazione importante col teatro, in quanto tema tragico per antonomasia e come elemento cruciale del reale e dell’umano, connesso al tema della malattia e a quello del dolore. A suo modo il testo di De Luca coinvolge questo tema “immenso” che con il “fine vita” ha più di una contiguità. In tale ambito significante, un punto di vista può essere assunto a partire dalla riflessione di Salvatore Natoli, secondo il quale: «Il dolore è quanto di più proprio, individuale e intrasferibile possa darsi nella vota degli uomini, ma nello stesso tempo non è un’esperienza così immediata e diretta come a prima vista potrebbe sembrare. Nessun uomo potrebbe vivere la sofferenza e sopravvivere a essa, se non riuscisse ad attribuirvi un senso. Esistono quindi scenari di senso entro i quali il dolore viene giustificato e compreso. “Tragedia” e “redenzione” costituiscono le due grandi scene entro cui l’Occidente ha sperimentato il dolore». Seguendo tali premesse osserviamo l’ambiente domestico nel quale due persone si incontrano dopo essersi lasciate per molto tempo e immediatamente (e tragicamente) si riconoscono. Madre e figlio sono riuniti nello stesso luogo, in un “vuoto dello stare insieme” che rimanda alle figure e alle raffigurazioni di interni di Edward Hopper. Tuttavia, il loro non è in atto un ricongiungimento familiare, poiché la donna ha deciso di morire e, per una beffa del destino, incontra il figlio infermiere che si occupa di assistere clandestinamente chi decide di sottoporsi a eutanasia. Lo stratagemma drammaturgico impone alla coppia un confronto, allo stesso tempo, sulle dinamiche familiari e su un tema “segreto” quanto scottante, soprattutto perché la donna non desidera lasciare la vita per qualche patologia terminale, ma in quanto divorata dalla depressione. Si attiva, così, un tema nel tema, la scelta del darsi la morte e l’esigenza resa necessaria per “apparenti futili motivi”. Nella messinscena del 2019, in una versione site-specific e ascolto in cuffia secondo il progetto sonoro di Hubert Westkemper, l’olofonia consente allo spettatore una relazione immersiva con le azioni sulla scena, permettendogli di penetrare con maggiore intensità nella “camera della tortura” in cui si svolge il drammatico dialogo tra i due interlocutori. L’ascolto in cuffia consente, infatti, di incunearsi con maggiore empatia nelle pieghe sonore ed emotive dei personaggi, nella modulazione vocale degli attori, negli spasimi ansiosi, nei singulti della commozione, nei respiri della concitazione, del loro fronteggiarsi su un tema che da intimo diviene universale. Con una alternanza tra la contiguità dell’ascolto e la distanza “imposta” da una vetrata apparentemente invalicabile, una quarta parete che è subito disfatta dalla immersione sonora nello spettacolo, lo spazio raccolto in cui l’azione si concentra, disegna un interno minimale ed essenziale arredato da pochi oggetti: un quadro sullo sfondo, una sceselong e un piccolo mobile con giradischi. Tutto conferisce ai dialoghi una pregnante centralità con una accentuata variazione di registri, particolarmente nel personaggio della madre, a fronte di una limitata porzione di gesti e movimenti. I colori sono chiari e fanno da controcampo alla cupezza del tema. I due personaggi vivono in scena una prossimità che doppia quella parentale ed emotiva, nonostante le distanze che li ha portati in quel luogo e in quel momento, dopo lunga lontananza.

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Script

Dari De Luca, Lo psicopompo, «Sciami.com», 2022

Writings by artists and interviews

Dario De Luca, Note al testo sparse e confuse, «Sciami.com», 2002

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BoCS Art
Critical writings

Lorenzo Donati, Il dolore degli altri, in Dario De Luca, Lo psicopompo, Cosenza, La scena di Ildegarda - Edizioni Erranti, 2020.

Donata Chiricò, L’ascolto è un compagno crudele, in Dario De Luca, Lo psicopompo, Cosenza, La scena di Ildegarda - Edizioni Erranti, 2020.