*I focus dedicati alla Socìetas Raffaello Sanzio vengono presentati diversamente dagli altri per accordi intercorsi con la compagnia, che, per la visione del proprio archivio, rinvia alla mail info@societas.es.
Amleto la veemente esteriorità della morte di un mollusco. 1992.
tratto da William Shakespeare, Saxo Gramaticus
regia, scene e costumi Romeo Castellucci
ritmo drammatico Chiara Guidi
melodia Claudia Castellucci
con ORAZIO/AMLETO Paolo Tonti; IL PADRE un orso di pezza; ORAZIO un pappagallo di pezza parlante; OFELIA una bambola parlante; LA MADRE un canguro di pezza; LA VOCE CHE RINUNCIA ALLA PAROLA Febo Del Zozzo, Stefano Cortesi.
tecnica Allegra Corbo
scenotecnica Stefan Duve
cura Gilda Biasini, Cosetta Nicolini
produzione Socìetas Raffaello Sanzio, Wiener Festwochen (Vienna), in collaborazione con il Teatro Bonci di Cesena
prima rappresentazione Cesena, Laboratori Meccanici Comandini, 10 gennaio 1992
Amleto: là dove la A risuona come alfa privativa
di Romeo Castellucci
Non è un Amleto ‘malato’ di autismo. Non si tratta, dunque, di una rappresentazione sull’autismo, così come non è una rappresentazione sull’Amleto. Penso si tratti di stare nell’attore, di stare (come nella rivoluzione copernicana) attorno alla sua inesausta domanda che, già da sempre, è quella del bambino autistico e di Amleto: “essere o non essere”. E la domanda nasce da uno scandalo profondo, radicale, che il soggetto prova a causa dell’incomprensibile indifferenza dei genitori. Come la lumaca toccata, così offesi, vi è un ritrarsi ermetico nel proprio mondo, con il sigillo del narcisismo. Ora per l’attore il padre risuona come autore e la madre (incestuosa) è significata dal palcoscenico. Questo è il punto. Allora è tutto uno smontare. Amleto percorre una via involutiva, là dove, di fronte allo scandalo, risale la corrente del pensiero come decostruzione per poi arrivare alla sorgente dello scandalo: il grembo materno. Pone il dubbio fin lì, ma non si tratta di regredire all’infanzia o di un ritorno intrauterino: Amleto si involve per negarsi a ritroso, fino ai recessi del feto. Come tentativo di autoaborto? O come ricerca del senso che qui giace affidato al mucoso? (Irigaray mi insegna gli angeli con il mucoso). Continua a leggere…
Definizione di un corpo sonoro: reificazioni delle emozioni
di Romina Marciante
Se a livello visivo il corpo-korper dell’attore si afferma in quanto cosa, oggetto senza tempo che si lascia indagare senza che si tenga conto della sua storicità, a livello uditivo il korper sonoro diventa la cassa di risonanza del vocema (grido, balbettio gemito vocalizzo) cioè di una parola aurorale che emerge dal silenzio perché consacra l’eternità di un presente destituito di avvenire. Tutto ciò che rimane e che viene pronunciato è “l’osso duro”, la sonorità riverberante dell’anima oppure del corpo, il “nucleo” di quello che appartiene ad “un’economia della sopravvivenza” e che non si può non dire.
All’interno di uno spettacolo che ha azzerato tutti i meccanismi della messa in scena (il testo come centro di irradiazione dell’assoluto autoriale, la fungibilità dell’attore, la mondializzazione dell’azione), l’avanzamento del paesaggio legato alle dinamiche della produzione del suono e dell’emissione vocale è divenuto, insieme all’etica e al dispiegamento della funzionalità primaria del corpo, (un corpo esposto come soma-sema) l’unico dispositivo drammaturgico che anima e drammatizza il luogo fisico della scena.
Il suono costituisce il fraseggio ritmico del racconto; rappresenta sia il movimento che conduce alla valorizzazione immaginativa di un ambiente (per esempio “una sonorità riverberante rimanda ad un ambiente ricco, pieno di concavità che lo amplificano”) che ciò che libera l’immagine dalla misura del tempo dotandola, di una peculiarità espressiva – preindividuale e prepersonale – che non può essere esperita se non come durata.
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